John locke

Anticipando così lo sviluppo di questo tema che prenderà il nome di criticismo in Kant, Locke non è interessato a ricerche fisiologiche o ontologichematerialiste o spiritualiste, riguardo ai procedimenti della conoscenza ma vuole partire dalla mente dell'uomo costituita di idee intendendo con questo termine «tutto ciò che si intende con immagine, nozione, specie o quanto sia comunque oggetto di attività conoscitive».[10]

Sono queste idee i veri oggetti di conoscenza presenti alla nostra mente non la realtà in se stessa e quindi occorre arrivare a stabilire, seguendo il metodo analitico cartesiano, quali siano le idee semplici, chiare e distinte, evidenti con cui poi edificare ordinatamente il nostro mondo conoscitivo.


In contrasto con i cartesiani e i platonici della scuola di Cambridge, Locke nega che possano esistere idee innate «impresse nella mente dell'uomo, che l'anima riceve agli albori della sua esistenza e porta con sé nel mondo»[12] come l'idea di Dio o dell'infinito, i principi logici, come quello di non contraddizione, i principi morali universali.

Tutto quello che ritroviamo nella nostra mente deriva dall'esperienza e non esistono idee che si riscontrino nella conoscenza senza un'origine empirica di esse. Anche se si volesse ridurre l'innatismo a quelle idee che hanno un consenso universale (consensus gentium) per il quale «i principi ammessi da tutto il genere umano come veri, sono innati; quei principi che ammettono gli uomini di retta ragione sono proprio i principi ammessi dall'intero genere umano; noi, e coloro che hanno la nostra stessa opinione, siamo uomini di retta ragione; dunque, poiché noi siamo d'accordo, i nostri principi sono innati.»[13]
Affermando per esempio che l'idea di Dio la ritroviamo in tutti i popoli è facile dimostrare che se si chiedessero le caratteristiche della divinità questa verrebbe descritta in base alle esperienze particolari dei singoli uomini per cui ciò che veramente hanno in comune le diverse genti non è l'idea di Dio ma il semplice nome.

«Ma, ed è la cosa peggiore, questa argomentazione del consenso universale, che viene impiegata per provare l'esistenza di princípi innati, mi sembra una dimostrazione che non c'è nessun principio al quale tutta l'umanità dia il proprio universale consenso. È evidente che tutti i bambini e gli idioti non hanno la minima apprensione o il minimo pensiero di quei princípi. E la mancanza di ciò è sufficiente a distruggere quel consenso universale che deve necessariamente accompagnare tutte le verità innate.»[14]

Anche per le norme morali o principi logici presunti universali per negare il loro preteso innatismo basti pensare che: « [...] fra i bambini, gli idioti, i selvaggi, fra le persone rozze e illetterate, quale genere di massime si potrebbe scoprire? Le loro nozioni sono poche e ristrette, derivano solo da quegli oggetti che sono da loro meglio conosciuti e che impressionano i loro sensi in modo più frequente e più vivido»


La negazione delle idee innate non era una novità nella storia della filosofia: Aristotelecontrapponendosi a Platone, e San Tommaso a San Bonaventura avevano negato l'innatismo; come del resto anche i cartesiani sensisti che vedevano l'origine delle idee nei sensi, e così anche Gassendi e Hobbes.

L'empirismo di Locke si differenzia dagli altri poiché il suo si fonda sulla convinzione che non esista principio, nella morale come nella scienza, che possa ritenersi assolutamente valido tale da sfuggire ad ogni controllo successivo dell'esperienza.

Questo vale anche per quei razionalisti, come ad esempio Galileo Galilei e Hobbes, che si rifacevano alla conoscenza verificata dalle conferme dell'esperienza ma che poi consideravano fuori da questa la struttura razionale matematico-quantitativa della realtà, attribuendole un valore assoluto di verità.

Affermava infatti Galilei che l'intelletto umano, quando ragiona matematicamente, è uguale a quello divino: «...quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina.


Nel secondo libro del Saggio Locke classifica i vari tipi di idee derivate dall'esperienza per scoprire i limiti reali del nostro conoscere. In base all'esperienza possiamo distinguere

  • Idee di sensazione quelle cioè che provengono dall'esperienza esterna, dalle sensazioni come, ad esempio, i colori. La formazione di queste idee avviene secondo quanto già indicato da Hobbes: dagli oggetti esterni provengono dati che s'imprimono su quella tabula rasa che è la nostra sensibilità.
  • Idee di riflessione riguardano l'esperienza interna o riflessione sugli atti interni della nostra mente come le idee di dubitare, volere ecc.

Una seconda distinzione riguarda:

  • le idee semplici quelle che non possono essere scomposte in altre idee e che quindi sono di per sé chiare e distinte, evidenti ma che, diversamente da Cartesio, non implicano un contenuto di verità ma soltanto il fatto di costituire gli elementi primi conoscitivi derivati in forma immediata dalla sensazione o dalla riflessione. Che la loro semplicità non implichi la verità si basa su quanto già affermato da Galilei sulla soggettività delle sensazioni di colori, suoni ecc. Anche Locke infatti distingue fra
    • idee di qualità primarie che sono oggettive come quelle caratteristiche che appartengono di per sé ai corpi (l'estensione, la figura, il moto ecc.)
    • idee di qualità secondarie, soggettive (colori, suoni, odori, sapori ecc.) che non sono inventate (l'intelletto non ha la capacità di creare idee semplici) ma che non hanno corrispondenza nella realtà.
  • le idee complesse, nel produrre le quali il nostro intelletto non è più passivo, bensì riunisce, collega e confronta le idee semplici originando tre tipi di idee complesse:
    • Modi: quelle idee complesse che modificano una sostanza, come il numero, la bellezza ecc. ovvero tutte quelle che non fanno parte delle sostanze o delle relazioni.
    • Sostanze:

Critica dell'idea di sostanza Contrariamente a quanto sostenuto nella storia della filosofia da Aristotele in poi Locke afferma che non si può parlare della sostanza come di una realtà metafisica in quanto essa si origina dal fatto che noi abitualmente osserviamo che l'esperienza ci mostra un insieme di idee semplici che si presentano concomitanti: come, ad esempio, il colore e il sapore di una mela: tendiamo allora a pensare che all'origine di questa concomitanza vi sia un substrato, un elemento essenziale (la sostanza "mela") che però possiamo solo supporre che ci sia ma non dimostrare empiricamente. Afferma infatti Locke


Conoscere vuol dire constatare l'accordo o il disaccordo di più idee tra loro esprimendo questa operazione in un giudizio.

Quando questa operazione avviene in modo immediato abbiamo

  • la conoscenza intuitiva di certezza assoluta ed indiscutibile

«in questo modo la nostra mente percepisce che il bianco non è nero, un circolo non è un triangolo, che tre è maggiore di due ed è uguale a uno più due».[21]

Quando invece rileviamo l'accordo con una serie di idee collegate si ha

  • la conoscenza per dimostrazione dove le idee intermedie sono in realtà delle intuizioni collegate tra loro e quindi anche in questo caso abbiamo certezza di conoscenza.

Locke quindi conferma la convinzione del razionalismo cartesiano che attribuiva carattere di verità assoluta alle conoscenze geometriche-matematiche e logiche formali ma esclude che queste connessioni tra le idee vogliano poi dire conoscere la realtà.

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