Immanuel Kant


L'obiettivo principale del pensiero di Immanuel Kant è quello di identificare le condizioni entro le quali una conoscenza possa essere ritenuta valida sia nel campo delle nuove scienze della natura sia in quelle tradizionali della metafisica, dell'etica, della religionee dell'estetica.
Kant, seguendo l'impronta illuministica del suo tempo, crede che tutte queste problematiche possano risolversi solo sottoponendole all'esame critico della ragione

Il tema principale trattato da Kant nella Critica della ragion pura è quello della conoscenza e della correlazione sussistente tra metafisica e scienza. Gli interrogativi che si pone sono come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze e la metafisica, in quanto aspirazione naturale a verità definitive, che la fa ingannevolmente concepire come una scienza. L'attività conoscitiva della ragione, analizzata indipendentemente dall'esperienza sensibile, comporta allora un esame condotto secondo i canoni della Logica formale tradizionale. La conoscenza nella Logica avviene tramite il giudizio che corrisponde all'unione di un predicato e un soggetto tramite una copula. Vi sono tre tipi di giudizi: quelli analitici a priori, i giudizi sintetici a posteriori e i giudizi sintetici a priori.


Il giudizio analitico a priori

I giudizi analitici a priori sono tautologici perché affermano solamente ciò che è già noto e quindi non danno alcuna informazione aggiuntiva, sono universali e necessari ma non ampliano la conoscenza. L'esempio kantiano «Il triangolo ha tre angoli»[7] è un giudizio analitico. Se io analizzo, scompongo il soggetto (triangolo) vedo che esso è costituito da diverse caratteristiche connesse col concetto stesso di triangolo: ha tre angoli, ha tre lati. Di queste caratteristiche, che conosco senza averne fatto esperienza (a priori), ne metto in evidenza una (ha tre angoli) nel predicato dove dunque non si dice niente di nuovo rispetto al soggetto. Un giudizio analitico può, semmai, aiutare a comprendere più facilmente i concetti impliciti contenuti in un soggetto ma non dà nuove informazioni e non ha un carattere produttivo; è però universale, vale per tutti gli uomini dotati di ragione, e necessario, una volta affermato non può più essere negato. Se dico che il triangolo ha tre angoli rimarrò fisso per sempre a quest'affermazione. Questo è il tipo di giudizio usato dai razionalisti.


Il giudizio sintetico a posteriori

Il giudizio sintetico accresce il mio conoscere, aggiungendo qualcosa di nuovo. Nel giudizio sintetico, così chiamato perché si può pronunciare in sintesi, in unione con l'esperienza, la connessione fra soggetto e predicato viene pensata "senza identità": il predicato contiene qualcosa di nuovo che non è compreso nel concetto del soggetto, come nell'esempio "alcuni corpi sono pesanti". Infatti alcuni corpi sono pesanti altri leggeri. Il fatto cioè che certi corpi siano leggeri non è compreso nel soggetto "corpi". L'elemento nuovo della "leggerezza" si potrà riscontrare solo dopo averne fatto esperienza.

Si ricordi che l'esempio kantiano[8] si rifà ad Aristotele, per il quale alcuni corpi - terra e acqua - sono per natura pesanti, mentre altri - aria e fuoco - sono per loro natura leggeri.

Il predicato, nel giudizio sintetico, è collegato al soggetto in forza dell'esperienza: i giudizi sintetici sono dunque a posteriori, si possono pronunciare solo dopo aver fatto esperienza e per questo essendo collegati alla sensibilità non hanno universalità e necessità ma sono estensivi della conoscenza. Questo è il tipo di giudizio usato dagli empiristi.


Il giudizio sintetico a priori

Il giudizio sintetico a priori è un giudizio che, pur ampliando la conoscenza, perché aggiunge qualcosa di nuovo nel predicato non implicito nel soggetto (come nel caso dei giudizi analitici), presenta i caratteri di universalità e necessità, non essendo derivato dall'esperienza (infatti è a priori).

L'esempio kantiano di 7 più 5 uguale 12[9] mostra come il predicato (dodici) non è compreso, come nei giudizi analitici, nel soggetto, ma c'è qualcosa di più: il rapporto di addizione che in 5 e in 7 presi di per sé non hanno. Dunque questo giudizio per un verso non dipende dall'esperienza, e quindi è necessario e universale, e per altro verso nel predicato dice qualcosa che non era contenuto nel soggetto e quindi è estensivo della conoscenza.

I giudizi sintetici a priori sono i fondamenti su cui poggia la scienza poiché accrescono il sapere (in quanto sintetici), ma non necessitano di essere riconfermati ogni volta dall'esperienza perché universali e necessari. In questo caso Kant ha una posizione nettamente distinta da quella di Hume, in quanto il filosofo scozzese, essendo empirista, riterrebbe necessaria ogni volta una conferma giacché a suo parere non si sarebbe in grado di dire che le cose in futuro non potrebbero cambiare.

Appartengono a questa categoria, e sono quindi le scienze per eccellenza, la matematica, la geometria e il concetto di causalità, che, demolito da Hume, recupera la sua dignità gnoseologica.


In Kant il termine trascendentale indica il meccanismo "formale" della conoscenza, a prescindere cioè dal contenuto di essa. Kant infatti vuole spiegare non che cosa si conosce, ma comeavviene la conoscenza, ossia definire i presupposti teorici che rendono possibile la conoscenza


La Critica della ragion pratica (in originale Kritik der praktischen Vernunft) è un'opera di Immanuel Kantpubblicata nel 1788; è la seconda per ordine cronologico delle tre celebri Critiche di Kant, di cui fanno parte anche la Critica della ragion pura (1781) e la Critica del Giudizio (1790).

Nella Ragion pratica, il filosofo conduce l'analisi critica della ragione nel caso in cui essa sia indirizzata all'azione ed al comportamento, alla pratica per l'appunto. Lo scritto è affine ad altre due opere kantiane, la Fondazione della metafisica dei costumi (1785) e La metafisica dei costumi (1797): nella Fondazione e nella Critica Kant pone il problema della fondazione e dei principi della "critica", in una parte della Metafisica dei costumi, dal titolo Dottrina della virtù (l'altra parte dell'opera è la Dottrina del diritto), Kant passa dalla "critica" al "sistema", ovvero espone i "doveri" e la sua etica.

Come nella Ragion pura il filosofo si proponeva di mostrare non cosa l'uomo conosce, ma "come" conosce, ovvero evidenziare i principi della conoscenza umana, allo stesso modo ora si pone di fronte al problema della morale: egli non vuole definire quali precetti etici debbano essere seguiti dall'uomo, bensì "come" quest'ultimo debba comportarsi per compiere un'azione autenticamente morale, e quindi in cosa consiste realmente la morale. La morale della Critica della ragion praticavuole essere, come già chiarisce la "Prefazione" all'opera, una morale formale, vuole indicare una "formula della moralità", la forma della morale, ma non il suo contenuto (le norme morali). Le norme della moralità, i singoli doveri, non sono in contrasto con l'intento della morale kantiana nel suo complesso, ma rientrano nei compiti non della Critica della ragion pratica, ma della "Dottrina della virtù" della Metafisica dei costumi (1797) che contiene il sistema dei doveri che derivano dalla ragione pratica

Kant afferma con fermezza l'esistenza di una legge morale assoluta, libera da ogni condizionamento, caratterizzata da due particolarità fondamentali:

  • Incondizionatezza: come conseguenza ineludibile del postulato della libertà della vita etica, la scelta morale non può che essere libera e fine a sé stessa (autonomia);
  • Necessità ed universalità: non può e non deve dipendere in alcun modo dalla situazione contingente e particolare, ma è uguale per tutti alla medesima maniera.

La morale è considerata la "praxis", ossia un agire volto alla realizzazione di un preciso scopo interno al soggetto; in secondo luogo essa prende la forma del dovere in un soggetto morale. Tale comportamento morale è insito in modo assoluto nella volontà del soggetto che diventa causa prima e libera della propria decisione e quindi del proprio agire. Viene sottolineata comunque la difficoltà che caratterizza tale libertà: spesso il soggetto è condizionato dal mondo esterno nel momento in cui egli sceglie.

In sostanza, se vi è l'agire morale vi è anche una volontà propria del soggetto che ha il compito di dirigere il modo ed il contenuto dell'azione; la volontà viene presentata come unica cosa buona e ragionevole per definizione posseduta dall'uomo.


trascendentale: Il termine trascendentale, da non confondersi con "trascendente", ha assunto in filosofia diversi significati: comparso per la prima volta nella filosofia medievale per designare una proprietà massimamente «universale», fu rielaborato dal filosofo tedesco Kant e dagli idealisti tedeschi FichteSchelling in riferimento a ciò che esiste «in sé e per sé», ma è funzionale ad altro da sé; quest'ultimo significato è stato riadattato infine dalla fenomenologia di Husserl.

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